GDF10 è un segnale per il recupero funzionale dopo ictus

 

 

LORENZO L. BORGIA

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIII – 31 ottobre 2015.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

L’ictus, insieme con le forme minori di patologia cerebrovascolare acuta, costituisce la più frequente causa di disabilità dell’adulto, pertanto si comprende il moltiplicarsi degli studi volti ad approfondire sempre più la conoscenza dei meccanismi molecolari legati al prodursi del danno e delle conseguenti infermità[1]. Negli ultimi decenni è accaduto molte volte che nuove acquisizioni abbiano nutrito le speranze dei ricercatori e proposto alla sperimentazione terapeutica nuove strategie e nuove molecole, ma, nella maggior parte dei casi, per esiti insoddisfacenti o contraddittori, le aspettative sono andate deluse, e attualmente la ricerca prosegue in numerose direzioni. Una di queste riguarda lo studio dell’axonal sprouting.

Dopo il verificarsi di un episodio ischemico acuto maggiore con danno infartuale, si assiste ad un processo spontaneo di riparazione naturale del danno molto limitato. La prospettiva di individuare fattori e meccanismi che guidano e realizzano gli eventi molecolari principali di questo processo, per poterli espandere con effetti terapeutici, ispira la ricerca che si sta focalizzando sulla parziale rigenerazione degli assoni danneggiati. La parziale ricrescita, come un germogliare, uno sprouting del neurite interrotto dalla lesione, nei neuroni della corteccia cerebrale che circonda il core dell’area infartuata, è la parte più studiata di questo processo di riparazione, anche se ancora non è noto il segnale che ne determina l’avvio.

Songlin Li e colleghi hanno indagato il GDF10 (growth differentiation factor 10), indotto nei neuroni dell’area perinfartuale nell’uomo, oltre che nel topo e nei primati subumani, con risultati di notevole interesse (Li S., et al., GDF10 is a signal for axonal sprouting and functional recovery after stroke. Nature Neuroscience – Epub ahead of print doi:10.1038/nn.4146, 26 October 2015).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Neurology, Department of Pathology and Laboratory Medicine (Neuropathology), David Geffen School of Medicine, University of California Los Angeles (UCLA), Los Angeles, California (USA);  Neuroscience Interdepartmental Graduate Program, University of California Los Angeles (UCLA), Los Angeles, California (USA); Semel Institute for Neuroscience and Human Behavior, Los Angeles, California (USA); Laboratories for Neuroscience Research in Neurosurgery, Children’s Hospital, Boston, Massachusetts (USA).

Il polipeptide GDF10, codificato da un gene[2] a localizzazione cromosomica 10q11.22 e conosciuto anche come BMP3B o BMP-3b, è un membro della famiglia BMP (bone morphogenetic protein), appartenente alla superfamiglia TGF-beta, e caratterizzato, come le altre macromolecole dello stesso gruppo, da un sito polibasico di proteolisi dove avviene la scissione necessaria alla produzione della proteina matura, contenente sei residui di cisteina. Come le altre proteine appartenenti a questa famiglia, è un regolatore della crescita cellulare e della differenziazione sia nei tessuti embrionali sia in quelli adulti. Studi condotti sui topi dimostrano un ruolo del GDF10 murino nella morfogenesi dello scheletro.

L’ischemia focale, responsabile della maggioranza dei casi di ictus clinicamente rilevati e strumentalmente diagnosticati, si verifica quando un’arteria cerebrale è occlusa da un embolo proveniente da una placca arteriosa o da un trombo cardiaco embolizzato, da un trombo piastrinico che si forma sulla superficie intimale, come spesso accade per l’arteria carotide comune. La localizzazione dell’infarto, derivante da occlusione funzionalmente completa e protratta, riflette i territori di distribuzione dei vasi cerebrali, ma il volume della massa encefalica compromessa è di regola inferiore a quello perfuso dall’arteria occlusa, perché la periferia del territorio colpito è rifornita di sangue da una circolazione collaterale. Infatti, le dimensioni dell’area infartuale dipendono da durata, grado di occlusione e dimensioni del circolo collaterale di compenso[3].

La regione direttamente ed esclusivamente irrorata dall’arteria occlusa costituisce il nucleo ischemico ed è responsabile della sintomatologia più grave; l’orlo topografico circostante, ancora parzialmente perfuso in virtù del circolo collaterale, è detto penombra ischemica o penumbra o alone ed è causa di una sintomatologia più sfumata e generalmente reversibile[4]. Il danno irreversibile procede nel tempo verso la periferia, dal centro dove vi è completa assenza di apporto ematico. Tale progressione estende l’area infartuata responsabile dei sintomi più gravi e non reversibili spontaneamente. Rimandando per la fisiopatologia dell’area malacica alle trattazioni specialistiche, per gli scopi di questa recensione consideriamo alcune caratteristiche salienti della penombra ischemica:

     1. in questo esteso alone che circonda il tessuto neuronico e gliale necrotico, il flusso sanguigno cerebrale è ridotto, ma è preservato il metabolismo di alta energia;

     2. mentre l’attività elettrica rilevata mediante elettrodi esterni è pari allo zero, sono preservate sia l’omeostasi ionica sia la disposizione fisiologica del potenziale transmembrana;

     3. la sintesi delle proteine è compromessa, mentre i livelli di ATP sono conservati a valori pressoché fisiologici;

     4. la risonanza magnetica nucleare (RMN) rivela uno stato perfusionale ridotto e patologico, mentre impiegando la tecnica di diffusione (DI, diffusion imaging) si registrano quadri in apparenza normali;

     5. la tomografia ad emissione di positroni (PET) documenta un’aumentata estrazione della frazione di O2, associata ad un ridotto flusso ematico cerebrale.

In conclusione, l’ischemia nell’area di penombra causa danni, alterazioni e disfunzioni con tentativi di compenso, senza mai giungere ad una gravità responsabile di deficit gravi e irreversibili. Come abbiamo ricordato più sopra, nei giorni che seguono l’ictus, l’area necrotica tende ad espandersi verso l’alone periferico. Infatti, promuovere il recupero della perfusione fisiologica nell’area di penombra, mediante l’iniezione di agenti trombolitici, può prevenire danni maggiori e limitare il deficit neurologico[5]. Lo scopo principale del trattamento dell’ictus ischemico è salvare quanto più tessuto nervoso è possibile della penombra. Rivers e colleghi, nel 2006, riportarono che all’incirca la metà dei pazienti ricoverati per accidente cerebrovascolare acuto presentavano, al primo esame RMN, una penombra quasi intatta; ma, a quasi dieci anni di distanza ancora, non si riesce a salvare tutto questo tessuto, se non in una piccola percentuale di casi. La ragione è data soprattutto dai limiti delle terapie attualmente in uso. Si pensi che solo l’8% di tutti i pazienti colpiti è candidabile ad una terapia con r-tPA (recombinant tissue plasminogen activator)[6].

Rinviando per una trattazione aggiornata della terapia dell’ictus all’ultima edizione dell’Adams e Victor’s[7], torniamo al lavoro condotto da Songlin Li, Thomas Carmichael ed altri colleghi.

La dimostrazione che GDF10 è indotto nei neuroni dell’area di penombra ischemica, allo stesso modo, nell’uomo, in primati non umani e nel topo, ne ha fatto un candidato ideale per la verifica sperimentale di un suo ruolo quale segnale di avvio dei processi di parziale rigenerazione delle connessioni danneggiate.

La sperimentazione condotta in vitro ha evidenziato la capacità di questo fattore di differenziazione di indurre processi di estensione del neurite di cellule nervose di ratto, di topo ed umane, mediante la segnalazione TGFβRI e TGFβRII.

Usando paradigmi farmacogenetici di acquisizione e perdita della funzione in modelli sperimentali animali di ictus ischemico, i ricercatori hanno posto in essere esperimenti dai quali è emerso che GDF10 era in grado di promuovere in maniera rilevante lo sprouting degli assoni e migliorare in maniera significativa il recupero funzionale nel periodo seguente l’evento cerebrovascolare occlusivo. La verifica mediante il knocking down del GDF10 ha prodotto effetti drammaticamente evidenti: si aveva il blocco dei fenomeni di estensione degli assoni danneggiati e, nel complesso, si registrava una notevole riduzione dei processi naturali che consentono la riparazione e il ripristino delle condizioni fisiologiche, dopo l’eliminazione infiammatoria del tessuto danneggiato.

Lo studio sperimentale in termini di biologia molecolare ha consentito di rilevare mediante il sequenziamento dell’RNA dei neuroni corticali dell’area perinfartuale, corrispondente alla penombra delle rilevazioni clinico-strumentali nell’uomo, che GDF10 determinava una downregulation di PTEN, poi, al contrario, una upregulation della segnalazione della chinasi PI3, e, infine, l’induzione di specifiche molecole per la guida dello sviluppo degli assoni.

I ricercatori hanno poi impiegato una tecnica di analisi estesa all’intero genoma (unsupervised genome-wide association analysis) del trascrittoma di GDF10, rilevando che non poteva essere messo in rapporto con i processi neuroevolutivi, ma faceva registrare parziali sovrapposizioni con altri patterns di danno del sistema nervoso centrale.

L’insieme dei dati, per il cui dettaglio si rimanda alla lettura integrale del testo dell’articolo originale, delineano il ruolo di GDF10 come quello di un segnale indotto dall’evento cerebrovascolare acuto per promuovere la rigenerazione assonica e il recupero funzionale.

Il prosieguo delle ricerche verificherà ulteriormente questi dati e, con ogni probabilità, valuterà la possibilità di strategie terapeutiche implicanti un’amplificazione mirata degli effetti di GDF10.

 

L’autore della nota ringrazia il professor Giovanni Rossi per la collaborazione e la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza, e invita alla lettura delle numerose recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Lorenzo L. Borgia

BM&L-31 ottobre 2015

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Si invita a scorrere l’elenco delle “Note e Notizie” per le numerose recensioni di studi sull’argomento.

[2] Tipo del locus: gene con prodotto proteico; famiglia genica: ligandi endogeni (Cfr. HGNC, HUGO Gene Nomenclature Committee).

[3] Hossmann K. M. A., et al., Pathophysiological basis of translational stroke research. Folia Neuropathologica 47, 213-227, 2009.

[4] Ramos-Cabrer P., et al., Targeting the Ischemic Penumbra. Stroke 42, 7-11, 2011.

[5] Cfr. Ludmila Belayev, Youming Lu, Nicolas G. Bazan, Brain Ischemia and Reperfusion: Cellular and Molecular Mechanisms in Stroke Injury, pp. 622-623, Basic Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price), AP, 2012. Per un approfondimento sull’area di penombra si veda, nella stessa opera: Tiffany N. Eady, et al., The Stroke Penumbra Is a Translational Target, p. 639.

[6] Kleindorfer et al., cit. in Belayev L., et al., op. cit., p. 623.

[7] Ropper, Samuels, Klein, Adams e Victor’s Principles of Neurology (10th edition), McGraw Hill, 2014.